martedì 15 giugno 2010

Il Gallo del Basket .- Intervista su "Millionaire" del 15 giugno 2010.


«Quando ero bambino andavo a vedere gli allenamenti di mio padre e cosi mi sono innamorato del basket. Lui voleva solo che io crescessi in maniera sana. La mattina a scuola, il pomeriggio in palestra a giocare» racconta Danilo a Millionaire.
Come hai iniziato con il basket?
«A cinque anni, il mio primo corso di minibasket a Livorno, dove mio padre stava disputando
l'ultima stagione di serie A. Poi siamo tornati "a casa", in provincia di Lodi.
Giocavo nei paesi limitrofi, e a 16 anni ho esordito nei professionisti. A 18 ero in serie Al, nell'Armani Jeans di Milano. L'anno dopo mi sono candidato per l'Nba, il sogno di tutti i giocatori. E sono stato scelto».
Cosa ha contato per sfondare in Usa?
«La testa, la capacità di affrontare una partita con l'idea di vincerla. Nel basket l'aspetto psicologico conta tantissimo, ti giochi tutto in pochi minuti. Il talento ce l'hai di natura. Ma anche la preparazione atletica conta molto, più in America che in Europa».
Che difficoltà hai incontrato?
«La difficoltà maggiore è stata adattarsi a un gioco e a una mentalità diversa. In Nba si disputano 82 partite, contro le 30 del campionato italiano. Il che significa giocare tre-quattro volte a settimana. Con un ritmo così elevato cambia anche il modo di allenarsi. Le regole delle partite sono diverse, e anche lo schema di gioco, che porta immediatamente al tiro senza troppi passaggi. Tutto deve essere più spettacolare. Ma l'America mi ha dato più di quello che mi ha tolto».
Perché?
«Giocare al Madison Square Garden è un'emozione incredibile. Ogni partita viene vissuta come uno spettacolo, anche durante gli intervalli. Non solo. Faccio una vita da sogno. Giriamo con un aereo privato che ci permette spostamenti rapidi alla fine di ogni partita, dormiamo in hotel di lusso, andiamo a cena nei locali più belli di New York. Siamo osannati come i divi di Hollywood. Conosco moltissime persone dì culture diverse. Faccio un lavoro che mi piace e mi diverto. Non potrei chiedere niente di più».
Senza contare quello che guadagni...
«Negli Usa gli ingaggi sono molto più trasparenti e anche il mio stipendio è noto a tutti (tre milioni di dollari annui, ndr), ma i più forti guadagnano molto di più. Tracy McGrady, il giocatore più pagato dei Knicks, ha preso 23 milioni di dollari in un anno».
Uno su mille ce la fa...
«Sì, a pochi riesce un'impresa del genere. Ma ogni sogno è accessibile. La mia voglia di vincere e di migliorarmi mi ha portato fino a qui. Amo giocare con i più forti. Mi serve per capire cosa hanno più di me e cosa devo fare per raggiungere quel livello».

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